venerdì 4 ottobre 2024

Signor Gregorio


https://images.findagrave.com/photos/2012/329/9978792_135386792019.jpg?size=photos250

Capita anche di essere bambini, qualche volta. Oppure degli adulti non fagocitati dagli eventi, e di chiedersi inframmezzati da silenzi: ma io qua, su questa terra, ma che ci sto a fare? Quale è il senso delle cose, tutte; e soprattutto del mio soffrire, del mio male? Perchè io devo vivere? Perchè io, devo morire?

Nel mentre di queste amene elucubrazioni incessanti, che sempre mi hanno accompagnato nella vita, io ero ricoverato e ascoltavo molta musica in un religioso silenzio, per cercare di lenire questo buco funesto presente da quando ho memoria del mondo. Ed ecco, una radio, Rai Radio 3, trasmette a tarda sera musica classica del 1600 che, lì per lì, mi lascia un po’ stupito.

Era la prima volta che sentivo, almeno con attenzione, un'opera di canto gregoriano. Ne fui affascinato a tal punto che il breve nome “Tallis Scholar”, mi rimase impresso fino alla mattina dopo. Era il nome dei coristi, che io cercai immantinentemente sul web, e presto capitai sul disco della loro versione del Miserere. Questa opera di Gregorio Allegri era eseguita durante una messa particolare, che si svolge nella Settimana Santa, ossia l'ufficio delle Tenebre. Era una messa completamente al buio, officiata nella cappella Sistina a Roma e oggi non più in uso. I papi dell'epoca erano così gelosi di questa opera, che non permisero che fosse trascritta e portata fuori dalla cappella, pena la scomunica. Tutti i coristi la eseguivano a memoria (o forse da un singolo spartito mai rinvenuto), e i ritocchi e gli abbellimenti venivano tramandati tramite tradizione orale. Oltre alla genialità compositiva che la rese una delle opere più importanti del periodo, una fama che superò tutti gli altri Miserere precedenti e successivi, e una tecnica canora apparentemente presente nella partitura, conosciuta come “Do sovracuto”, questo brano suscitava talmente tanta fascinazione che molti tentarono di trascriverlo di nascosto. Il Do sovracuto è una nota così alta che poteva essere eseguita solo dalle voci bianche del periodo, o che oggi può essere eseguita da coriste donne (allora inesistenti) o da uomini con palloncini di elio predisposti ad alzare l’estensione vocale. Tra i trascrittori illegali del Miserere, c’era anche un giovane Mozart.

Mozart avendo un orecchio assoluto (ossia identificava le note in maniera univoca) e una memoria eidetica (ossia poteva ricordare per un breve periodo di tempo, ma alla perfezione, qualunque brano sentisse) trascrisse quello che udì durante l'ufficio delle Tenebre. Oggi il Miserere che conosciamo, è un’elaborazione sui suoi scritti e su quelli di altri trascrittori illegali.

Il miserere originale, con tutti i suoi abbellimenti e le sue tradizioni orali (nonché con la questione sull’effettiva presenza nella versione originale del Do sovracuto), è andato perduto e quello che possiamo sentire eseguito dai Tallis Scholar non è altro che una meravigliosa e fantastica, ma non originale, imitazione.

Eppure passano i mesi, silenziosi anche loro; religiosi e ligi. E forse fu per il Miserere, forse non solo per quello, ma io mi feci portare una Bibbia color mattone, gli scritti di Sant’Agostino, e i parenti e gli amici dei parenti religiosi, mi regalarono brevi libercoli di personaggi noti e meno noti tra gli adepti di Cristo e dei suoi Apostoli.

E pensare che io ero stato un feroce lettore di Nietzsche, e di Cioran, e di tutta una tradizione critica verso il cristianesimo. Guardavo Cristo come un uomo, e San Paolo come un mistificatore e un abile mercante di idee non sue. Io non sapevo se mi sentivo più da una parte o dall’altra, ma non volevo scegliere.

E infatti, ho evitato di farlo.

Quel cortocircuito si è risolto, come un malanno autolimitante di stagione, come una notte d’amore o come il sole che ogni sera, religioso va a dormire.

Ero a tavola, in solitudine; e ascoltavo una playlist di musica italiana. L'apparecchio esordì con una canzone fino ad allora sconosciuta. Si intitola “Il Dio delle piccole cose” di Max Gazzè, Daniele Silvestri e Niccolò Fabi, e di cui non ricordo neanche bene le parole.

Ricordo però che risolse “tutte cose”, direbbero al Sud, qui in Italia.

In poche brevi frasi la mia mente trovò la mia personale sintesi tra un Dio che mi stava stretto e un mondo gelido che mi stava largo, nel senso che non mi dava un senso, un motivo e una direzione. Che non mi spiegava il dolore, e tutto ciò che prima ho avuto modo di dire.

Ci vorrebbero altre trecento parole e frasi per spiegare che la musica ti salva, che se la chiami è sempre lì che ti ascolta, e che alle volte ti crea, altre ti affossa.

Ma io invece impiego questo spazio per dire che ora, io, sono un devoto adepto delle piccole cose (senza riferimento alla canzone, ma per una sua imbeccata feroce). Per me Dio ha smesso di dividere i mari e lanciare le piaghe, far scendere i suoi figli e apparire ai santi, o quantomeno in maniera plateale. Non parlo degli altri però, parlo del mio Dio.

Il mio Dio mi fà trovare 2 euro in tasca quando ho voglia di un gelato, mi fa trovare 5 minuti di riposo non programmato quando sono stanco all’improvviso. Non fa suonare la sveglia o mi dà mille altre scuse per un impegno che odio. Il mio Dio fa cadere il mio cellulare, ma non lo fa rompere, se sono al telefono con la donna che amo.

È un Dio silenzioso, religioso, ma presente.

E mi aiuta nelle piccole cose, mi fa scoprire Allegri, il Miserere. Mi fa cambiare e vivere le cose. Passa per le mie mani libri e idee, mi mette in condizione di cambiare e amare.

Ha un unico peccato, non ascoltare ciò che il mondo ci può offrire.

Ma non si arrabbia se pecchiamo: “Sò ragazzi! Che voi fare!” sembra dire.

Mentre mi aiuta nelle piccole cose, perché le grandi cose, come sconfiggere la paura e trovare un senso, invece, stanno a me…

Lui me le può solo indicare… 

 

iononquadro

Nessun commento:

Posta un commento