venerdì 25 ottobre 2024

Signor Baruch

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“Philosophieren ist spinozieren”, ovverosia “Filosofare è Spinozare” diceva l'ingombrante padre degli hegeliani di tutte le epoche e le nazioni. Forse fu quello, o forse fu che amo le sfide (puntualmente perse) e da cui imparo poco (o niente) che mi fecero finalmente decidere. Ero in una stanza sembiua, scarsamente abitata e soprattutto lontano da casa e da luoghi consueti. Uno di quei freddi ricoveri di cui non voglio parlare. Ma Dio, avevo da leggere montagne di libri dalle copertine stroboscopiche.

Avevo svaligiato praticamente il ripostiglio più recondito di ogni libraio polveroso e libreria affastellata del circondario attorno a casa prima di partire. Silenzioso, a sera, me ne stavo a sfogliare e a scrivere, mentre le nuvole vagabondavano, e mi divoravo quell’Ethica, quella lì, quella con l’acca. Di lui: Spinoza. Che temerario cercava di spiegarmi tramite argomenti affini alla matematica e alla geometria, l'essenza stessa di… tutto.

Certo un tentativo arduo, ma né sterile né isolato. E soprattutto un tentativo in un certo senso riuscito.

Spinoza era un ebreo seicentesco di Amsterdam, che di lavoro faceva il tornitore di lenti. Ma di certo era anche un razionalista, un fervido appassionato commentatore di Cartesio (suo contemporaneo), che dopo aver trovato nel suo probabile idolo delle cose che non tornavano, decise di scrivere il libro su cui, incautamente, avevo messo le mani.

È un uomo geniale, ma mite. Non insegue la fama, non vuole costringere il mondo alla sua ragione. Anzi si becca anche una scomunica degli ebraici di Amsterdam che gli danno una diffida ufficiale sottoforma di una maledizione per i suoi pensieri definiti sovversivi.

“Che sia maledetto di giorno e di notte, mentre dorme e quando veglia, quando entra e quando esce…” recita la scomunica a Spinoza che continua il suo lavoro; che io mi sono sempre immaginato in un retrobottega o in una casa indaffarata di fogli e penne d'oca. È qualche anno dopo che comincia a scrivere questo libro semplicemente con lo spirito di migliorare i punti che gli sembravano carenti in Cartesio, e non di sorpassarlo in fama: si chiama “Ethica more geometrico demonstrata” e se il titolo vi sembra altisonante, o in un latino che vi risveglia brutti ricordi scolastici, il contenuto non vi deluderà.

Centinaia di pagine costituite da definizioni in stile di dimostrazioni euclidee (ovverosia assiomi con definizioni e corollari) volte ad assicurare la certezza e la precisione nonché più importante la dimostrabilità del pensiero.

Raccolte e articolate in più libri, si avventurano sicure facendo riferimenti incrociati su e giù per il testo (come solo Wittgenstein sarebbe stato in futuro capace di fare) su tutto quanto era importante mettere in chiaro: Dal Dio ora rivisitato e trasformato da Cartesiano in Spinoziano, fino alle emozioni umane, matematicamente affrontate e definite. Certo se oggi ci può sembrare un'opera degna giusto di un po' di ambizione e priva di qualsivoglia diritto in certe cose così labili, umane, non computabili in così freddi termini meccanicistici: Forse abbiamo ragione. Ma è anche vero che certi filosofi, sono piante sempreverdi. Sono terreni fecondi. Come tutti gli artisti sono il lievito madre nei nostri pani.

E se ci vorrà il buon Kant con le sue passeggiate e il suo carattere anch'esso mite per spazzare via il razionalismo e questi uomini che pensavano di poter spiegare il mondo solo con l'uso del pensare, io spesso mi ritrovo nella mia stanzetta a chiedermi: si vabbè, però perché Hegel diceva che fare filosofia è un po' Spinozare? Perché lo diceva in altri termini anche Nietzsche? Perché lo amava Wittgenstein e Schopenhauer? E di Deleuze, che dire?

Sarà perché Spinoza ha anticipato il concetto non dualistico di mente-corpo, superando il concetto cartesiano che ancora oggi resiste, e che consiste in un corpo diviso dalla mente?

No, non credo sia questo.

È Forse è il concetto di natura naturata e natura naturans, oppure il goemetrismo morale e il modo in cui tratta le passioni nei suoi scritti.

No, neppure.

Credo faccia più riferimento, a quel movimento intestino alla vita di questo uomo. Un perseguitato col sorriso. Ma un sorriso curioso. La danza di uno spirito del bosco, ma un bosco da scoprire, da curiosare. Da scavare in ogni tana, da sciabordare in ogni lago su tronchi di fortuna, da incontrare in ogni creatura animata e inanimata (non era lui, d'altronde, che aveva superato anche l’antropocentrismo di Cartesio in favore delle altre forme dell'esistenza e della vita?). Un uomo mite e molto innamorato.

In questo il suo libro insegna, ed è riuscito.

Ah, dimenticavo!

Eppure lo sapevo: filosofia vuole dire amore per il sapere.

Perché è certo io dell'Ethica di Spinoza non posso dire di avere capito tutto. E forse di quel poco, ho anche perso il ricordo.

Avrei potuto annoiarvi con quello che conosco.

Ma quando prendo in mano il buon volume, e un po' lo sfoglio, semplicemente ricordo: mi sono sentito, ancora e ancora, come un bambino che vede per la prima volta due persone baciarsi giù in penombra, sugli scogli.

Mentre mi veniva sonno e la stanza si faceva buia: io ero a cospetto dell'amore, ma soprattutto del desiderio di codesto, della ricerca e della voglia.


iononquadro

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