venerdì 5 luglio 2024

Una parte delle cose

Piccole parolacce escluse, che spero di poter dire in questa sede senza offesa per i lettori, qui si parla di una mattina assolata, eppure visceralmente assonnata e che, se fosse stata in me, non sarebbe divenuta mattina, ma bensì un'alba coperta in un letto di nuvole e lana. Un'alba che indugia a svegliarsi, fra i teli del letto e il morbido dei sogni non ancora divenuti ricordi. Certo il sole oggi piove spiovente, sulle finestre della mia casa esposta verso una luce di ghiaccio, che faccia o non faccia piacere, comunque presente e tangente.

Mia madre neanche alzato, mi offre di leggere un vecchio giornale di ieri, stagionato come certi formaggi puzzoni. Già colorato di ditate d'inchiostri lontanissimi, già sbiadito a tutti i bordi se ancora c'è ne sono di intellegibili, e stropicciato in tutti i punti possibili, come anche colorato di immagini e arcobaleni poco cromatici, ma comunque non gioviali né felici.

Un giornale dei soliti, solidi giornali seriosi dei nostri tempi insomma, dove mia mamma ravvede un articolo interessante, pare. O così dice.

C'è un ragazzo, un designer, un appassionato di rock underground di Roma (e tutto nella stessa persona), di cui nessuno conosce l'identità manifesta, e che crea delle magliette bizzarre, decorate con scritte, mi dice, la signora mamma. Mi allunga il quotidiano alla presa della mano. Io sono seduto sul bordo di un letto morbido e scusatemi, davvero, se ho appena lasciato il cuscino e voi forse non credo. Ma una giornata pesante mi aspetta, di là al varco con la porta d'ingresso e ho poca voglia di fare un sorriso sincero. Eppure sorrido. Sorrido.

Lì per lì, mi interessa un po' poco il giornale. 

Ho da fare. Vedo le immagini come i bambini che leggono i libri tramite le foto, i diagrammi e le mappe del tesoro tra le pagine.

Queste magliette nelle foto del giornale hanno scritto "Merda" nello spazio sul petto. Davvero.

Lì per lì non le capisco.

Vado avanti nel giorno e ci penso come un pensiero distante, presente ma mai preponderante. Come un seminterrato. Come la cantina di un ricordo lontano. Ricordo allora il celebre linguista Tolkien. Si dice considerasse la parola inglese cellardoor (porta della cantina) come una delle più belle e musicali della sua lingua natia. Vorrei una porta musicale pure io, per ritrovare tante cose che ho dimenticato. Come fossero le mie Madeleine, il dolce che Proust mangiava nella Recherche e che gli faceva tornare le emozioni alla memoria più viva. Un po' perché sono uno scordarello, un po' dalla mente digestiva (come ogni bambino nascosto dietro l'apparenza di un'età non più bambina), e un po' perché ho una golosità rinomata e una memoria affamata (che solo quando assaggia qualcosa la sente già vissuta).

Come gli insetti, e la campagna quando si era bambini e si correva e si urlava sempre, perché non avevamo altri modi di essere vivi. Di essere emozioni locomotrici di emozioni.

O altri sorrisi e pianti, se non quelli che lanciavamo ai quattro venti. 

Ci sono abbracci e tanti momenti scomparsi, oggi, fra questi. Perduti nei meandri di ciò che è successo e non abbiamo avuto la cura di accudire nei ricordi. Nelle cantine, o che le nonne non ci hanno insegnato ad imbrigliare nelle ricette dei dolci.

Cose che non sappiamo di essere oggi.

Eppure le siamo. Sottotraccia.

Forse per questo quel pensiero di quelle magliette mi ossessiona, mi accompagna, come una sposa, da questa mattina?

E cosa mi racconta?

A sera, dopo una giornata campale, di guerre che sono andate misteriosamente bene e di sconfitte annunciate, di sorrisi e di volti incomprensibili, di firme e strette di mano; mentre silenziose le ore si fanno fatiche per i tendini, i muscoli e le ossa della schiena e quasi è disperata la ricerca di una pennichella stesi a letto: quasi come un bisogno fisiologico, il rigurgito di tutto il pensiero del giorno, ha bisogno di trovare un foglio.

Ora vorrei leggerlo, ma non ritrovo più il giornale. È come sparito fra le cose consuete, ovvie e calorose della casa.

E quante piccole cose, incastri e meccanismi mancati che sono le cose vive. Le cose vere di una vita che a tratti si vive, e a tratti si conquista con infinite fatiche, e amore.

Perché l'amore è costruzione, ma questo è un altro pensiero, su cui qui non mi dilungo.

Le cose vere della vita, le cose piccole e grandi come esistere, come essere noi. Puzzoni come i giornali vecchi, sgualciti, ma pieni di contenuti preziosi e inestimabili.

Nascono tutte dai concimi più impensabili e insperati.

Per questo ripenso a De André, a una delle sue canzoni, che diceva: “Dalla merda nascono i fiori, dai diamanti non nasce niente”

Quella maglietta, sulle pagine di un giornale sgualcito, deve aver colpito in qualche modo il mio intimo. Suscitato un pensiero profondo.

Deve aver creato mondo.

Perché spesso ho giudicato me stesso: io non ero abbastanza simile ad un diamante. È difficile da spiegare diversamente: io mi credevo degno d'amore solo nella perfezione, nell’aderenza ad un ideale.

Ciò non è cambiato, non cambia dall'oggi al domani. Queste sono cose difficili, ovviamente.

Ma silenziosamente, come la moglie d'Ulisse tutta questa giornata scioglie il telaio, e una parte dell'ordito del mio animo.

Se lo tesserà diverso in futuro è motivo di preoccupazione e pensiero curioso nel mio cuore.

Riuscirò a cambiare, a stare meglio, a stare bene?

A capire, che il diamante è sterile, mentre il concime vive.

Questa storia di una maglietta con la scritta Merda sul giornale non è che un seme. Uno dei semi della mia pianta e del mio fiore. Non a caso forse, si dice anche “un pensiero seminale”?

Che sono le farfalle a scatenare gli uragani con le ali, e che le valanghe, possono partire da un suono troppo forte che scuote le loro nevi?

Se vi piace, una maglietta con su scritto Merda, la potrei anche comprare.

Ma l'abito non fa il monaco, e anche questo fa parte delle cose, quelle vere…


iononquadro

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