venerdì 26 luglio 2024

ORARIO DI VISITE



Avevo gli occhi lucidi.

Ma non erano le polveri

sottili, e sottilissime. Quasi invincibili:

come i tuoi modi di litigare,

e i tuoi sorrisi candidi.

O certe nuvole stirate

che non si credono possibili, senza uscire.

Perché non si può vedere il cielo

in ospedale.

Sai, le finestre spalancate, lucide,

fanno passare solo la minima luce.

Giusto per vedere bene,

le proprie ferite,

piangere.

Perché Mamma, ho gli occhi umidi, mi chiedi?

No, Non è il vento.

Non sono i pensieri.

È solo un po' di pianto,

che credo, di non aver pianto affatto.

Ho sorriso solo un po’, quando ti ho visto.

Ricordo… Ancora lo ricordo,

che avevo appena mangiato.

Mi avevano appena imboccato dal piatto come un bimbo, piccolo, e deboluccio.

Dunque, prendimi in braccio.

Prendimi in braccio come se fosse vero.

Prendimi in braccio e non piangere, ti prego.

Vedrai che ne esco, in qualche modo.

In un modo complicato, come io sono.

Ma sincero.

Perché no mamma, non è piangere.

È essere felice con gli occhi.

Perché posso vederti.

Ancora.

Da vivo.

Anche oggi.


Sono stato solo, e poi più solo.

L'unico svago che avevo, era muovere la testa,

guardarci dentro come ad una finestra:

e annegarci l'angoscia.

Debole come uno scricciolo.

Abbandonato come una conchiglia.

Su un letto, quando la marea si ingrossa.

Sentire i signori chirurghi dietro la porta, che ti scavano la fossa.

Questa, la chiamano sopravvivenza.

Una parola strana, che io non chiamo mai,

Perché ho timore di attirarla, ancora.

Ma mio padre entra, allora, nella mia prigione imbottita

Con un sorriso di lana e di seta.

La mia stanza, il mio letto ospedaliero

Forse io, lo interrogo nel tempo che ci è dato:

Mi porge un pacchetto.

Un maritozzo, che ha introdotto di nascosto in reparto.

Di panna.

Dopo mesi a brodino di pollo e frutta.

È la vita che torna.

Non ho memoria più bella,

vivida e bella come questa amorevole dolcezza.

Questa breve… carezza.

Se non questa e l'infanzia, penso

Che vorrei abbracciarti.

D'improvviso, mentre fai qualche cosa.

Cucini o suoni la chitarra.

Mentre segui il calciomercato

O sei assorto in un film che ti interessa.

Mi hai regalato la vita che torna.

Io vorrei regalarti qualcosa.

Come questa poesia.

Questo infinito abbraccio di carta.

Fai un aeroplano, e tiramelo nel cuore:

Ogniqualvolta dimentico.

Quanto ti voglio bene.





iononquadro


Che estate sarebbe senza cocommero!


 Come ogni estate e con il grande caldo, nelle tavole degli italiani, per lo meno nella mia, non potrebbe mai mancare il frutto estivo per eccellenza: sua maestà "Er Cocommero"! Frutto gigante, che può arrivare a pesare anche diversi chili. Incredibile! Il ché rende non facile anche il suo trasporto a casa. Ma questo piccolo inconveniente non può di certo impedirne l'acquisto ed il consumo. E' troppo buono sua maestà Er Cocommero. Io non potrei mai rinunciare a gustarmi la freschezza della sua polpa rossa e corposa cosparsa di piccoli semini neri, che quando l'addenti e la schiacci con la forza delle tue mascelle, un fresco e saporito succo dal gusto esotico, in un attimo raggiunge ogni parte della tua bocca, facendoti provare un momento di sublime godimento e un piacere afrodisiaco. Mmmmmm... Prova ad immaginarlo! Adesso! Dai, forza! Non farti sfuggire questa occasione! Lasciati andare a questa incredibile sensazione! Immagina di addentare un grande pezzo di cocommero ed il suo succo afrodisiaco che esce mentre lo stritoli. Prova ad immaginare come ti senti, cosa provi in quegli indimenticabili momenti mentre il succo rosso esce dalle tue labbra, scivolando giù lungo tutto il tuo corpo. Comincia a rigare le labbra e a farle brillare, a rigare il mento, poi giù lungo la pelle della gola, sempre più giù... e più giù, continuando il suo percorso fino a lambire il tuo petto, provocandoti un brivido. Il piacere è tutto lì. Quando io lo mordo infatti, è tale il piacere, che non posso far a meno di chiudere gli occhi, trattenere il respiro e assaporare in tutta la sua pienezza sua maestà Er Cocommero. 

Er Cocommero... Mangi, bevi e ti sciacqui la faccia. Aaaaaaa!!! 


White Cosmos

Piccoli pensieri


 Sono cinque o sei anni che cerco di alzare la qualità della mia salute interiore e spirituale provando a migliorare la mia vita in tutti i suoi aspetti; o per lo meno laddove ce ne è più bisogno. In tutta sincerità non so se ci sono riuscito, tuttora mi sforzo, mi concentro su questo obiettivo così importante per qualunque essere umano, a mio vedere. Andando abbastanza indietro nel tempo non mi capacitavo, non sentivo il bisogno d' una esistenza più serena e priva di sofferenza, soprattutto emotiva. Ad oggi le cose vanno decisamente meglio. Nello specifico laddove prima c' era una situazione di disagio esistenziale, ora si intravvede uno spiraglio di luce positiva e curativa. Ad esempio la notte riposo bene, il sonno la fa da padrone e mi concedo anche dei sogni veramente piacevoli che non disturbano il dormire. Fino ad alcuni mesi fa avevo l' abitudine di passeggiare nei parchi di Roma, c' è solo l' imbarazzo della scelta per ciò che riguarda la bellezza di questi posti. Il mio preferito rimane Villa Ada dove spero di riprendere le sane camminate e corse che mi concedevo in compagnia dei tanti scoiattoli da me in qualche caso accarezzati e nutriti. Provo particolare benessere nel compiere tale gesto sia fisico che mentale. Mi sento come uno che sta compiendo un' opera buona, giusta, da fare spesso insomma. Guardo distrattamente l' orologio, m' accorgo che è quasi l' ora di cena. Mi domando se è il caso di smettere di scrivere. Capirai mi dico. Per quello che ho scritto. Lo stomaco borbotta, rumoreggia, confermando che il pasto serale s' avvicina e tra me e me penso: "Perché ho scritto? Perché mi esortano con gentilezza a scrivere?" Ho trovato questo piccolo esercizio rilassante e terapeutico. Spero di riuscire la prossima volta ad argomentare su altri aspetti che siano il meno possibile autobiografici. Ci proverò con tutto me stesso cominciando già tra qualche giorno!


Panta rei

Nossia e Vossia

 


Oggi il vostro nonnino vi racconterà la storia di Nossia e Vossia. Nossia e Vossia erano due sorelle, a capo di un popolo oppresso dal tiranno Nun-me-freg che regnava sul paese di Schiavonia. Le due sorelle secondo la profezia, avrebbero dovuto salvare il proprio popolo e condurlo verso la libertà nelle terra di Bengodi. Le due sorelle erano le profetesse del dio Me-so-rot, un dio potente, saggio ma con poca pazienza e un po' scorbutico, che disse alle due sorelle di presentarsi davanti al tiranno Me-ne-freg e chiedere la liberazione del popolo. Le due sorelle si presentarono al cospetto del tiranno Nun-me-freg per chiedergli che lasciasse libero il popolo di Me-so-rot, ma il tiranno non accondiscese. Allora le due sorelle con l' aiuto del dio Me-so-rot scapparono dal paese di Schiavonia di notte, insieme al loro popolo, piano piano, zitte zitte, arrivarono al mare, davanti alle acque dello stretto di Chi-Mera. Dieci chilometri di mare che li divideva dal paese di Bengodi e si misero a pregare il dio Me-so-rot affinché li aiutasse. Me-so-rot ascoltò scocciato le loro preghiere, poi siccome si era veramente rotto le scatole di sentirle pregare, decise di intervenire; aprì le acque dello stretto affinché Nossia e Vossia e tutto il popolo potesse raggiungere Bengodi. Finalmente la libertà li attendeva! Ma Nossia e Vossia si misero a litigare su chi dovesse attraversare per prima lo stretto e condurre in salvo il popolo. Intanto il tiranno Nun-me-freg accortosi della figa degli schiavi li inseguì con il proprio esercito, li raggiunse proprio mentre stavano per attraversare e... Si fermò, scese da cavallo, e fermò anche il proprio esercito. Insieme si misero ad aspettare. Nel frattempo Me-so-rot, "stracco" di sentire litigare le due sorelle per chi doveva attraversare per prima, fece richiudere le acque dello stretto, e il mare inondò nuovamente il passaggio.

E... Il dio Me-so-rot è sempre più scocciato delle lamentele del proprio popolo.

Il popolo è sempre più angariato dal tiranno Nun-me-freg. 

E Nossia e Vossia? Alcuni dicono che si siano nascosti da qualche parte, lontano da tutto e da tutti per la paura e perla vergogna, e altri...

Ma come dice sempre il vostro nonnino: "Stretta è la foglia, larga è la via, dite la vostra ma è meglio quella del nonnino.


Nonno Elpho


venerdì 19 luglio 2024

La Tortora

“Eravamo poveri. Poverissimi di vocaboli. Potevamo contare sulle dita delle mani, le emozioni che potevamo pronunciare con cognizione, e l’uso della ragione era solo abbozzato come uno schizzo di un disegno, come la forma delle gocce contenute nell’oceano, la polvere nell'universo o gli arrivi dei treni, nel tempo di un viaggio mai viaggiato ma intrapreso col pensiero. Eravamo un grande blocco di travertino con dentro un bambino, forse una madre e un padre artigiano, eravamo una gigantesca statua sotto le mani di Michelangelo. Eravamo un foglio bianco. Un universo mondo. Uno spartito tenuto a mente da Mozart, ma mai scritto. Una rosa contenuta nel germoglio di una rosa al freddo.

Ed eravamo un poeta, un poeta analfabeta, muto, cieco, persino senza udito ma col dono della vita.

Un poeta silenzioso.

Un poeta che comunica col cuore delle cose, e che trattiene il fiato del non detto nel polmone, nel ventre di una madre, nelle maree di una placenta genitrice.

Un poeta che soffre e che sa amare. Sorridere e digrignare i denti dal dolore.

Un poeta del colore, ma privo dell’abilità del disegnare. Eravamo bambini, neonati, fanciulli, creature o come vi pare chiamarle.

Impegnati, ecco, a provare un emozione.

Credo sia questo il fatto, una vera emozione.

Un'emozione di cui ancora non si poteva parlare…”

Il ragazzo, seduto in prima fila, davanti al palco con qualche luce partita e le tende del sipario semichiuse, come a protezione dell’intimità dell’attore, sorrise, all’ascolto di queste poche parole.

Andò giusto al bagno, prima della fine dello spettacolo, e sorrise un paio di volte allo specchio appannato e pulito. Un tizio gli urlava da fuori di fare presto, se la stava facendo sotto. Ma lui si lavò accuratamente le mani morbide, e senza fretta lascio il bagno fra gli improperi del frettoloso. Il vento era estivo, mentre faceva la scale accanto ad un ballatoio scarsamente illuminato e rientrava in un teatro cavo, vuoto e pieno di eco.

Era una faccenda delicata, questa vita. E si accorgeva con quanta cura andasse trattata. Cercò di intrufolarsi fra i camerini e si beccò due minacce e un mezzo pugno sulla spalla.

Si appostò così dietro il teatro, all’uscita degli attori. E li vide uscire silenziosi ad uno ad uno, come fantasmi struccati. C’erano le attrici, ancora poco coperte, nei loro vestiti leggeri e reggiseni di tela bianchi, alcune con pellicce fuori moda e fuori stagione, e qualche attore, con i pantaloni a sigaretta e le bretelle quelle strette strette, la giacca fra le dita lunghe o dietro le schiene curve.

Sorrise, lo vide arrivare.

“Salve…” gli disse.

“Salve, la posso aiutare?” rispose l’attore, stupito.

“Ecco in realtà… io…”

“Sì?” chiese.

“No… ecco… non credo potrebbe capire…” e fece per andarsene il ragazzo, voltando le scarpe.

Ma l’attore sorrise, lo trattenne. Lo invitò a stare tranquillo, e a sentirsi ascoltato.

Il ragazzo spaventato sotto un cielo plumbeo che volgeva a un tramonto fulmineo, quasi divenuto un bambino solo, una barchetta di carta nell’oceano, gli chiese:

“Mi insegnerebbe a parlare, signore?” e sorrise, come si fa per paura, come fanno i castelli con le mura o il sole con le nuvole o la luna eclissata una volta al secolo, con i fondi oscuranti delle bottiglie affumicate.

L’attore, seppur molto interdetto, lo invitò a camminare verso un luogo imprecisato.

“Mi spieghi…” gli disse.

Il parco dove si trovarono a passeggiare era fresco e c’era una luce da bordo-oceano nel laghetto sporco e insalubre. Gli uccelli cantavano il loro canto come doveva essere da secoli lungo tutti i tramonti di tutti questi mondi terreni, nella lingua più antica e bella dei 5 continenti. Il ragazzo indicò quegli uccelli, e disse all’attore, semplicemente: "Perché non posso farlo?”

"Perchè non posso esprimermi così, con la stessa naturalezza e facilità di una tortora?”

"Perché non posso parlare la lingua del mio cuore, come con un’emozione che parla? Lei fa della lingua la sua professione, lei ha parlato di fanciullezza e di emozione nel suo spettacolo, dunque mi risponda, la prego!” disse il ragazzo che già cominciava a sentirsi rifiutato, ancora una volta non capito nel suo bisogno spontaneo.

"Perché il mio cuore non parla dalla bocca? Perché la mia lingua riduce le parole del mio animo a una insalata sofisticata di significati e declinazioni della vera vita? Insomma, perché la mia storia, la mia lingua, mi ha tolto il dolore di bocca?” chiese il ragazzo all’attore, che silenzioso tirava fuori un copione dopo l'altro dalla sua borsa di pelle. “Io c’ho qui una cosa” disse il ragazzo, indicando il suo petto. “Che esce solo quando piango, forse a volte quando rido. Spesso quando sono innamorato perso. Non so spiegare meglio questo dolore bellissimo, questo colore profondamente nascituro e nascosto. Ma vorrei da lei che mi insegnasse a parlarlo…”

L'attore gli fece vedere i copioni. Prima uno di Shakespeare, poi uno di Beckett e via così fino alla noia. Aveva un'espressione interdetta e silenziosa. Dubbiosa. Alla fine fra le sue carte ravvide che non aveva insegnamenti da dargli. Stava rimettendo tutto a posto, intristito, quando il ragazzo indicò un foglio. Non riguardava nemmeno il teatro in generale. Era una sorta di dialogo, vergato a penna con qualche accordo musicale sopra le righe. Molto educate.

“Ho provato a trascriverla ieri dalla radio, avevo la chitarra in mano ed ecco, questo è il pessimo risultato che ora penso di aver tirato fuori” gli disse l’attore titubante, con le sopracciglia curve come grucce.

“Prendila, se pensi che ti possa aiutare…” disse.

“Tu sai suonare…?” chiese al ragazzo mentre l’ora era tarda e il sole inseguiva la stelle per strade che non saranno toccate e percorse.

Passò forse un mesetto, magari un paio di lune storte. Un paio di feste e una serata triste da passare davanti alla televisione senza particolari voglie. Lo spettacolo era andato bene. Molto bene. Le persone contente gli portavano rose e altri regali graditi nei camerini. Era chiuso nel bagno freddo a lavarsi i denti e a struccarsi dopo lo spettacolo. Lo vide con la coda dell’occhio, sempre nello stesso punto, ad aspettarlo fuori dall’uscita degli artisti in un semibuio drammatico.

Scese in tutta fretta, lo salutò e gli chiese cosa ci facesse lì seduto, all'umido.

Il ragazzo disse solo: “Ricambio il favore, maestro” e imbracciò una chitarra, che aveva appoggiata ad un muro e che sembrava buttata nel secchio.

La musica da prima leggera crebbe nelle vie limitrofe al teatro silenzioso, e quasi come vasi comunicanti lo spettacolo si spostò dall’altra parte della via, davanti all’uscita degli artisti. La gente piccola piccola commentava con le mani a coprire la bocca, mentre l’attore poteva ancora sentire una somiglianza con la canzone originale, da lui trascritta. Ma come farcita di un dolore, di un autenticità e di un amore, da una voce roca e animata dai fantasmi del vivere, come plasmata da uno scultore di parole e di voce, come da un poeta di fuliggine che nasconde braci infinite: sempre uguali nel rosso vivo nelle loro sfumature di essere vive.

Gli applausi tardarono ad arrivare, per un fatto di meraviglia e altre cose meravigliose.

“Grazie per avermi insegnato a parlare” disse il ragazzo prima di sparire lungo una via anonima e solita.

Prima che l’attore urlasse “Grazie a te, mia Tortora…”.

E tornasse alla sua vita grigiastra fatta di parole e amore, per il concetto stesso di parola.

A una vita che parla, a suo modo.



E non c'è altro che importa, fra terra e cielo.





iononquadro

Fantozzi sulla Luna, ovvero Fly me to the moon...

Bentrovate e bentrovati dal vostro immancabile Fantozzi ragionier Ugo! Mercoledì scorso siamo stati al cinema Adriano e abbiamo visto un discreto film dal titolo Fly me to the moon, che è anche il titolo di una famosa canzone jazz. Questo film è un po' particolare perché già dal trailer che avevo visto sembrava promettere di sostenere la ben nota tesi "complottista" secondo la quale in realtà sulla Luna non ci siamo mai andati. In realtà il film fa una sorta di compromesso tra la verità ufficiale e la tesi complottista anche allo scopo di dare agli spettatori una sorta di lieto fine all'americana, della serie e vissero tutti felici e contenti nella migliore nazione del mondo... Io in realtà sono abbastanza preparato sul cosiddetto complotto lunare perché ho seguito il dibattito che imperversa in rete, e ho visto il quasi famoso documentario di Massimo Mazzucco "American Moon", un documentario che ha come scopo soprattutto quello di smontare i debunkers, ossia i sostenitori della verità ufficiale della Nasa. Poi in rete c'è anche il maestro Piergiorgio Caria, che in mezzo ai suoi discorsi spiritualisti ha più volte sostenuto la tesi che all'inizio sulla Luna ci siamo andati ma poi gli extraterrestri hanno sabotato tutte le successive missioni Apollo perché gli americani volevano portare una bomba atomica sulla Luna e forse la volevano anche far esplodere. Mazzucco e Caria differiscono un po' perché Mazzucco sembra negare del tutto che sulla Luna ci siamo andati e Caria una volta ha detto che siccome è molto impegnato non ha tempo per vedere il documentario di Mazzucco, una sorta di svalutazione insomma. Per tornare al film visto l'altroieri devo dire che all'inizio del secondo tempo ero interessato perché il film sembrava concedere qualcosa alla cosiddetta teoria del complotto ma poi il finale cambia tutto e la colpa sembra essere tutta di un dispettoso gatto nero!


Fantozzi ragionier Ugo

venerdì 12 luglio 2024

Epopea eroico comica

GRA

 Il vostro nonnino oggi vi parlerà di due grandi eroi che con le loro mirabolanti imprese hanno contraddistinto e segnato un' epoca. Due eroi che nonostante al giorno d' oggi siano caduti nell' oblio, un tempo erano più famosi, molto più famosi di Meo Patacca, sto parlando di El Emorroid e di Giul Cacca. La loro storia ha inizio in una landa sperduta e desolata nel paese di Cagata. Si trattava di una landa davvero sfortunata. Pensate che l' unica coltivazione era la patata. E non c'era un' industria, una fabbrica, una cementiera, una miniera, nemmeno una cava o un capannone. Niente! Nulla!! In tutta la contrada esisteva solo un edificio, mai abbandonato, una vecchia baracca, che un tempo produceva lacca. I nostri eroi erano partiti dieci annoi prima per andare a combattere in Terrasanta contro gli infedeli. Ma purtroppo dopo il raccordo avevano girato a destra, invece che a sinistra e non erano più riusciti a trovare la strada né per tornare indietro, né per arrivare in Terrasanta. Vagavano, anzi ancora stanno vagando tra le uscite del raccordo. E' così che due grandi eroi, non sono ancora riusciti a tornare a casa dopo dieci anni di viaggio proprio come Ulisse. Ma non sono riusciti neanche a recarsi in Terrasanta per andare a combattere. Due eroi davvero sfortunati, non hanno potuto cogliere le gesta che li avrebbero resi immortali, altro che Ulisse o Achille. Peccato anche per la Terrasanta, insomma peccato. Ma per il vostro nonnino sono gli eroi più eroici di tutti gli eroi presenti, passati e futuri. W El Emorroid, Evviva Giul Cacca. 


Nonno Elpho

L'arbitro Taylor e la volontarietà dei falli!

Salve a tutti e tutte dal vostro insondabile Fantozzi ragionier Ugo! Quest'oggi scrivo a proposito di tematiche calcistiche dato che sto seguendo gli europei e ho assistito come tanti altri alla ignobile figuraccia dell'Italia... Ma non è di questo che vorrei parlarvi! Da qualche tempo è stata introdotta una notevole innovazione nel calcio professionistico, ed è il var, ossia la moviola in campo come voleva il povero Biscardi. In caso di evidente errore dell'arbitro, l'arbitro ha la facoltà di andare a rivedere le immagini a bordocampo e può cambiare la sua decisione, assegnando o togliendo rigori e questioni così di una certa importanza. L'introduzione del var ha migliorato notevolmente la situazione arbitrale perché il giudizio degli arbitri è diventato meno soggettivo e più oggettivo. Ma a questo punto cominciano le esagerazioni, perché alcuni arbitri ogni volta che vengono richiamati dal var concedono quasi automaticamente un rigore. Ma ci sono casi particolari nei quali anche un criterio oggettivo non è sufficiente, casi in cui il giudizio dell'essere umano rimane imprescindibile, e proprio questo si vede nel caso di un fallo di mano involontario. Per giudicare la volontarietà di un fallo mai nessuna macchina sarà utile, ci vorrà sempre il giudizio umano, un arbitro in campo in carne ed ossa. E a questo punto devo spezzare una lancia in favore dell'arbitro Taylor, nonostante io sia tifoso della Roma e nonostante quasi tutti dicono che in Spagna Germania l'arbitro Taylor ha sbagliato e non ha dato un rigore che c'era, a me come prima impressione è sembrato che Cucurella non ha fatto apposta a toccare la palla con la mano, e poco importa se il braccio è attaccato al corpo oppure no!


Fantozzi ragionier Ugo

SHUKRAN


 


Di recente ho visto il film “Shukran” al cinema Adriano e ho pensato di farne una recensione.Arriva al cinema per soli 3 giorni (8, 9 e 10 luglio) grazie a Eagle Pictures il film Shukran,che il regista Pietro Malegori alla sua opera prima ha tratto dall’omonimo libro di GiovanniTerzi, edito da Piemme Mondadori. Basato su una storia vera, il film Shukran ci porta nellaSiria dilaniata dalla guerra civile. Nel 2011 il popolo siriano insorge contro il regime diAssad. Damasco, sotto il controllo del governo, resiste agli attacchi alle porte della città. Ildottor Taher Haider è un cardiochirurgo infantile totalmente dedito al suo lavoro in ospedale. Quando suo fratello Ali muore in un attentato terroristico mentre presta soccorso alle vittime di guerra in una delle zone più colpite del paese, Taher decide di esaudire l’ultima richiesta fattagli la sera prima di morire: trovare e salvare un bambino malato di nome Mohamed. Quando, durante il viaggio attraverso una Siria dilaniata dagli scontri, Taher scopre che il bambino è il figlio del terrorista che ha ucciso suo fratello, si troverà di fronte alla scelta più difficile della sua vita e dovrà mettere in discussione tutto quello in cui ha sempre creduto. “Shukran”, in arabo “grazie”, è un film ispirato alla storia vera di un cardiochirurgo siriano che si trova a dover operare il figlio del terrorista che gli ha ucciso il fratello, ha raccontato Malegori. Sono rimasto colpito dal suo potenziale e dai diversi livelli di lettura presenti nella storia. “Shukran” racconta innanzitutto la storia di un uomo che si confronta con il suo passato. A un secondo livello, è un “war movie” che, attraverso il conflitto siriano, solleva questioni etiche proprie di ogni essere umano: il valore della vita al di là dell’ideologia, il confine tra giusto e sbagliato, il dissidio tra sentimento e dovere. È fondamentale gettare luce su un conflitto come quello siriano di cui il pubblico sa poco, ma che è sempre vivo e che si inserisce all’interno di un quadro complesso come quello del Medio Oriente il quale, come stiamo vedendo, non si sopisce mai davvero.


Blue Jacket

Ma dov'è finito il mio fratellino?




Buonasera a tutti e tutte. Oggi il vostro inmandrakabile Buio Totale vi racconterà una leggenda...che di leggenda ha ben poco. Essì, perché si parla di un mostro che vive in tutte le nostre case indipendentemente da chi siano abitate...se da persone single come me o sposate con figli, dal momento che si acquista questo elettrodomestico, lui alberga silenziosamente lì dentro, ecome un serpente sa quando attaccare. Il mostro dei calzini spaiati. Ebbene sì esiste questa specie di "Venom" ghiotto di calziniche colpisce ogni lavaggio mangiandosene uno per volta e lasciando così, il vecchio amico di avventure a piangere il proprio fratellino finché non ne trova un altro...che nn è detto neanche che si stiano simpatici...tra le altre cose...e poiun giornoquando vede che si sono affezionati mangia anche l'altro. E la storia si ripete. Insomma, per questi poveri calzini a quanto pare non c'è pace... e sinceramente neanche per noi padroni che ci parte un capitale tutte le volte per ricomprarceli. Anche se...io personalmente ormai mi sono abituato alla disuguaglianza e francamente li trovo anche molto carini.
Inmandrakabilmente Vostro
Buio Totale

venerdì 5 luglio 2024

Il centro diurno va al parco

Mamma mia che robba!! Il 21 giugno del 2024 il centro diurno è uscito ed è andato al parco. Bravo!! Per la precisione il centro diurno di via Sabotino, uno dei tanti centri diurni che "popolano"  (frequentato dal vostro nonnino), si è recato al parco Lombardi per partecipare alla festa della musica. Du robbe!! Insieme al centro diurno c'erano anche gli amici di via Plava anche loro al parco. Nonostante la festa iniziasse alle ore 18 faceva caldo, molto caldo e c'era un pò di tensione nell'aria, dovuta alle emozioni di chi si esibiva sul palco. E già!! Alcuni di noi, per la precisione quelli del laboratorio di coro e l'orchestra improvvisata si esibivano sul palco del parco. anche io vostro nonnino si è esibito. Non preoccupatevi, i presenti sono tutti sopravvissuti a questo evento, e nonostante il caldo tutto sommato è andata bene! Ne hanno risentito un pò le orecchie e gli occhi, ma si è trattato di un risentimento momentaneo. A parte le pinzillacchere, volevo dire che il centro diurno al parco è stata una bella cosa sia per il centro diurno ed anche per il parco. Chissà se non sia possibile ripetere questo evento, io lo dico soprattutto per il parco, perché grazie ai nostri interventi canori, le piante e i fiori presenti nel parco cresceranno belli e rigogliosi.

Nonno Elpho   

Una parte delle cose

Piccole parolacce escluse, che spero di poter dire in questa sede senza offesa per i lettori, qui si parla di una mattina assolata, eppure visceralmente assonnata e che, se fosse stata in me, non sarebbe divenuta mattina, ma bensì un'alba coperta in un letto di nuvole e lana. Un'alba che indugia a svegliarsi, fra i teli del letto e il morbido dei sogni non ancora divenuti ricordi. Certo il sole oggi piove spiovente, sulle finestre della mia casa esposta verso una luce di ghiaccio, che faccia o non faccia piacere, comunque presente e tangente.

Mia madre neanche alzato, mi offre di leggere un vecchio giornale di ieri, stagionato come certi formaggi puzzoni. Già colorato di ditate d'inchiostri lontanissimi, già sbiadito a tutti i bordi se ancora c'è ne sono di intellegibili, e stropicciato in tutti i punti possibili, come anche colorato di immagini e arcobaleni poco cromatici, ma comunque non gioviali né felici.

Un giornale dei soliti, solidi giornali seriosi dei nostri tempi insomma, dove mia mamma ravvede un articolo interessante, pare. O così dice.

C'è un ragazzo, un designer, un appassionato di rock underground di Roma (e tutto nella stessa persona), di cui nessuno conosce l'identità manifesta, e che crea delle magliette bizzarre, decorate con scritte, mi dice, la signora mamma. Mi allunga il quotidiano alla presa della mano. Io sono seduto sul bordo di un letto morbido e scusatemi, davvero, se ho appena lasciato il cuscino e voi forse non credo. Ma una giornata pesante mi aspetta, di là al varco con la porta d'ingresso e ho poca voglia di fare un sorriso sincero. Eppure sorrido. Sorrido.

Lì per lì, mi interessa un po' poco il giornale. 

Ho da fare. Vedo le immagini come i bambini che leggono i libri tramite le foto, i diagrammi e le mappe del tesoro tra le pagine.

Queste magliette nelle foto del giornale hanno scritto "Merda" nello spazio sul petto. Davvero.

Lì per lì non le capisco.

Vado avanti nel giorno e ci penso come un pensiero distante, presente ma mai preponderante. Come un seminterrato. Come la cantina di un ricordo lontano. Ricordo allora il celebre linguista Tolkien. Si dice considerasse la parola inglese cellardoor (porta della cantina) come una delle più belle e musicali della sua lingua natia. Vorrei una porta musicale pure io, per ritrovare tante cose che ho dimenticato. Come fossero le mie Madeleine, il dolce che Proust mangiava nella Recherche e che gli faceva tornare le emozioni alla memoria più viva. Un po' perché sono uno scordarello, un po' dalla mente digestiva (come ogni bambino nascosto dietro l'apparenza di un'età non più bambina), e un po' perché ho una golosità rinomata e una memoria affamata (che solo quando assaggia qualcosa la sente già vissuta).

Come gli insetti, e la campagna quando si era bambini e si correva e si urlava sempre, perché non avevamo altri modi di essere vivi. Di essere emozioni locomotrici di emozioni.

O altri sorrisi e pianti, se non quelli che lanciavamo ai quattro venti. 

Ci sono abbracci e tanti momenti scomparsi, oggi, fra questi. Perduti nei meandri di ciò che è successo e non abbiamo avuto la cura di accudire nei ricordi. Nelle cantine, o che le nonne non ci hanno insegnato ad imbrigliare nelle ricette dei dolci.

Cose che non sappiamo di essere oggi.

Eppure le siamo. Sottotraccia.

Forse per questo quel pensiero di quelle magliette mi ossessiona, mi accompagna, come una sposa, da questa mattina?

E cosa mi racconta?

A sera, dopo una giornata campale, di guerre che sono andate misteriosamente bene e di sconfitte annunciate, di sorrisi e di volti incomprensibili, di firme e strette di mano; mentre silenziose le ore si fanno fatiche per i tendini, i muscoli e le ossa della schiena e quasi è disperata la ricerca di una pennichella stesi a letto: quasi come un bisogno fisiologico, il rigurgito di tutto il pensiero del giorno, ha bisogno di trovare un foglio.

Ora vorrei leggerlo, ma non ritrovo più il giornale. È come sparito fra le cose consuete, ovvie e calorose della casa.

E quante piccole cose, incastri e meccanismi mancati che sono le cose vive. Le cose vere di una vita che a tratti si vive, e a tratti si conquista con infinite fatiche, e amore.

Perché l'amore è costruzione, ma questo è un altro pensiero, su cui qui non mi dilungo.

Le cose vere della vita, le cose piccole e grandi come esistere, come essere noi. Puzzoni come i giornali vecchi, sgualciti, ma pieni di contenuti preziosi e inestimabili.

Nascono tutte dai concimi più impensabili e insperati.

Per questo ripenso a De André, a una delle sue canzoni, che diceva: “Dalla merda nascono i fiori, dai diamanti non nasce niente”

Quella maglietta, sulle pagine di un giornale sgualcito, deve aver colpito in qualche modo il mio intimo. Suscitato un pensiero profondo.

Deve aver creato mondo.

Perché spesso ho giudicato me stesso: io non ero abbastanza simile ad un diamante. È difficile da spiegare diversamente: io mi credevo degno d'amore solo nella perfezione, nell’aderenza ad un ideale.

Ciò non è cambiato, non cambia dall'oggi al domani. Queste sono cose difficili, ovviamente.

Ma silenziosamente, come la moglie d'Ulisse tutta questa giornata scioglie il telaio, e una parte dell'ordito del mio animo.

Se lo tesserà diverso in futuro è motivo di preoccupazione e pensiero curioso nel mio cuore.

Riuscirò a cambiare, a stare meglio, a stare bene?

A capire, che il diamante è sterile, mentre il concime vive.

Questa storia di una maglietta con la scritta Merda sul giornale non è che un seme. Uno dei semi della mia pianta e del mio fiore. Non a caso forse, si dice anche “un pensiero seminale”?

Che sono le farfalle a scatenare gli uragani con le ali, e che le valanghe, possono partire da un suono troppo forte che scuote le loro nevi?

Se vi piace, una maglietta con su scritto Merda, la potrei anche comprare.

Ma l'abito non fa il monaco, e anche questo fa parte delle cose, quelle vere…


iononquadro

Fantozzi alle prese con il bluff nel poker!

Salve a tutti e a tutte dal vostro disincantabile Fantozzi ragionier Ugo! Oggi torno a parlare di un argomento un po' controverso per alcuni, tipo Nonno Elpho, ma fortunatamente non per tutti! Nonno Elpho mi dà del plutocrate perché amo vantarmi dei risultati che ottengo a poker e in effetti non va male, dato che ho raggiunto un miliardo e trecento milioni... Tranquilli, di fiches! Di fiches, non di euro, magari...! Negli ultimi mesi sono riuscito a trovare delle risposte alle domande che mi ponevo nei precedenti articoli, e precisamente circa il sesto e il settimo livello. Mi chiedevo che comporta giocare a poker con amore e la riposta è la capacità di leggere gli avversari, di intuire grosso modo il punto che hanno in mano, e infatti io ormai al sesto livello mi trovo bene, mi sono piuttosto abituato e molto spesso vinco e incremento il mio "capitale" con grande scorno di Nonno Elpho! Invece attualmente ho un atteggiamento opposto verso il settimo livello: dato che la settima dimensione dell'essere umano è lo spirito, come si gioca a poker in modo spiritoso? La risposta è bluffando, cercando di mandare in tilt la lettura degli avversari del proprio punto. Insomma il settimo livello è il regno del bluff, e io sto timidamente, con cautela, muovendo i primi passi e sempre cercando di evitare i pesci più grossi di me, finché ho un miliardo e rotti evito di giocare con quelli che hanno due miliardi o più. La mia "regola" del 5% viene pienamente rispettata perché al settimo livello si gioca con 50 milioni a botta, e io ho più di un miliardo (il 5% di un miliardo è proprio 50 milioni). Comunque quello che va assolutamente evitato, una volta che si diventa miliardari, è accettare sfide 1 contro 1 e rischiare così di perdere tutto, capita a molti...

Fantozzi ragionier Ugo

Un'esperienza inaspettata

Da un po' di tempo la vita mi sta riservando qualcosa di totalmente inaspettato fino a non molto tempo fa. Fino a quella che era stata la mia vita prima di un certo giorno dello scorso anno. Un giorno che, per l'appunto, mi ha fatto vivere un'esperienza che mi ha cambiato profondamente. Qualcosa di meraviglioso, anzi di unico e soprattutto, di indimenticabile. 

Parlo così perché da ciò non si può rimanere quello che si è. 

Lavorare con i bambini si è rivelato molto diverso da quello che mi aspettavo. Mi aspettavo infatti di doverli solamente sopportare, anzi subire. Subire i loro capricci, le loro urla, i danni che avrebbero potuto fare in ogni momento, ovunque. E poi pulirli, cambiarli, sporcarmi anche io. Insomma una cosa che pensavo di odiare e che così sarebbe stato. Invece... invece nulla di tutto questo, o quasi. Per non essere ipocriti. L'esperienza di lavoro con un bambino è tutt'altro. Essa ti dà e non ti toglie; ti regala e non ti ruba; ti offre e non ti chiede. Un bambino non ti chiede di portare pazienza per i suoi capricci ma ti dà la possibilità di osservarlo per imparare; non ti chiede di perdere il tuo tempo con lui ma di dedicare un po' di esso per lui; non ti chiede di badare a lui ma ti offre la possibilità di vivere un'esperienza meravigliosa da portarti a casa e tenerla stretta per sempre; non ti chiede di portargli un regalo ma di regalargli un po' del tuo affetto, il quale sarebbe sicuramente ricambiato. 

Nella mia ultima esperienza di lavoro, ad una festa di compleanno di un bimbo che ha compiuto tre anni, una bambina di cinque anni si era attaccata molto a me. Piano piano ha preso coraggio, confidenza e si è avvicinata. Da quel momento non voleva più staccarsi. Voleva che le gonfiassi i palloncini senza legarli per poi divertirsi a vederli volar via dappertutto. All'improvviso è venuta a sedersi sulle mie ginocchia e a saltare. Poi si è seduta accanto, appoggiando la sua testa su di me. Per qualche motivo suo, mi è parso evidente che si era molto affezionata. Nel momento in cui me ne stavo andando via, non voleva più lasciarmi andare e mi tirava per non separarsi da me. Allora nell'attesa di salutare il festeggiato, mi sono andato a sedere sul divano, lei si è subito seduta vicino a me, attaccata più che mai senza lasciarmi neanche la possibilità di muovere il braccio, trasmettendomi quell'affetto spontaneo che ho scoperto solo i bambini possono darti. Ho però poi dovuto salutarla.

Tutto questo per me è stato fonte di inimmaginabile gioia.


White Cosmos