Gli etruschi, prima dei Romani, conobbero il segreto della costruzione dell’ arco, con cui si
potevano fare porte cittadine, acquedotti ma soprattutto ponti. L’ arte di costruire ponti era
sacra da cui il termine Pontifex, facitore di ponti, da cui l’ attuale termine cattolico
Pontefice; se poi si trattava del mastro costruttore, si chiamò in epoca romana il Pontifex
Maximus, la massima carica sacerdotale pagana da cui abbiamo tratto il Sommo
Pontefice. Roma fu del resto costruita nell’ unico punto in cui era possibile unire con un
ponte le due sponde del basso Tevere, un ponte facile da proteggere militarmente, e da
qui dominava tutto il traffico fra l’ Etruria e l’ Italia meridionale. L’ arte di costruire i ponti fu
dunque etrusca ma ben presto divenne romana. Ma solo quando l’ Urbe riuscì ad avere il
controllo della riva sinistra venne costruito questo ponte, il primo della città, per volere di re
Anco Marzio, appunto presso vicino il guado del Tevere. Il Pons Sublicius venne infatti
eseguito interamente in legno per poter essere facilmente demolito in caso di attacco
nemico. E’ il più antico ponte di Roma, realizzato in legno al tempo di Tullio Ostillio e
terminato da Anco Marzio secondo Tito Livio e Dionigi di Alicarnasso. In quanto alla
tecnica si usava anzitutto deviare il corso del fiume attraverso canali e chiuse, di cui gli
Etruschi avevano già la massima esperienza, quindi si scavava e si ponevano fondamenta
e pilastri. Su questo veniva poggiata un’ incastellatura di legno ad arco, su cui venivano
poste le pietre già rastremate a scalpello. Per ultimo si poneva il cuneo, la pietra
rastremata più grande di tutte che veniva inserita al centro esatto dell’ arco, dopodichè l’
incastellatura di legno poteva essere tolta e usata altrove. Il cuneo diventava così la
chiave di volta e il peso dei muri si scaricava lungo i montanti permettendo di sopportare
carichi enormi. La principale preoccupazione dei Romani nella scelta del luogo dove
costruire il ponte fu soprattutto di avere abbondante roccia a disposizione su cui fondare le
spalle dei ponti ad evitare che piene o alluvioni potessero danneggiarli. Poi si prevedeva la
temporanea deviazione del corso d’ acqua tramite un sistema di palizzate e dighe. Si
procedeva, quindi, allo scavo per raggiungere il massiccio roccioso su cui fondare i piloni
del futuro ponte. Dopodichè si alzava una struttura lignea dotata di una sagoma
semicircolare; su di essa venivano appoggiati i conci, pietre squadrate con un opportuno
taglio trapezoidale. Si utilizzavano delle gru dotate di paranchi a vari rinvii per posizionare
le pietre sulla centina di legno fino ad essere unite al centro dell’ arco dalla cosiddetta
“chiave di volta”, un concio solitamente più grande degli altri. A volte, le pietre venivano
legate fra loro con della malta. Quando la centina di legno veniva rimossa, tutto il peso
della struttura si scaricava sul terreno consentendole di sopportare enormi carichi. Gli unici
accidenti che potevano distruggere un ponte romano riguardavano assestamenti imprevisti
del terreno, terremoti o eventi bellici.
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