Vi presento un paio di curiosità che ancora appassionano gli storici. Nelle antiche culture,
la potenza dei nomi era enorme. Essi racchiudevano l’ essenza delle cose e i Romani
dicevano “Nomina sunt omina”, cioè i nomi sono segni divini. Si spiega così la tradizione
delle denominazioni segrete dell’ Urbe. La ragione del riserbo era quella di non permettere
di dominare Roma attraverso il potere magico conservato nel suo nome. In particolare, si
voleva evitare che esso potesse essere utilizzato durante rituali magico-religiosi. Rivelare
il nome segreto di Roma, conosciuto da pochissimi sacerdoti e pronunciato a bassa voce
in rare occasioni era punito con la morte. Di queste denominazioni si ha solo qualche
indizio, giunto dalla tarda antichità e può trattarsi tanto di fantasie quanto di rivelazioni. Per
lo scrittore bizantino Giovanni Lido, Roma aveva tre nomi: uno profano, Roma, uno sacro,
Flora e uno arcano e misterioso, Amor che è anche il nome della città scritto al contrario.
Flora è considerato attendibile dagli storici, ma come nome più religioso che segreto.
Amor, invece, ricondurrebbe al legame con la dea Venere, madre di Enea, e alla sua
relazione con Marte. In altre fonti, infine, compare Valentia, che ha il significato di “forza” .
Roma antica aveva un’ arma segreta a cui si affidava nei momenti più difficili: i Libri
sibillini. Erano lo strumento sacro più importante dell’ Urbe e li si consultava solo in
circostanze eccezionali. La loro storia comincia al tempo del re Tarquinio Prisco. Una
vecchia sconosciuta si recò dal sovrano per offrirgli nove libri sacri, contenenti profezie
che avrebbero garantito la potenza di Roma, ma chiese in cambio un prezzo esorbitante.
Quando il sovrano rifiutò di pagare, la donna bruciò tre dei rotoli, poi altri tre, offrendo
quelli che restavano al prezzo iniziale. Colpito dalla condotta della vecchia per gli ultimi tre
libri. Prima di sparire, la venditrice raccomandò che i rotoli venissero conservati e difesi
con cura, poiché contenevano le istruzioni per fronteggiare le future crisi del popolo
romano. La vecchia era la Sibilla Cumana, profetessa del dio Apollo, e il racconto
costituisce una delle prime testimonianze dell’ influenza greca nell’ Urbe. I Romani non
sottovalutarono mai i Libri sibillini, ricorrendo alla loro consultazione in caso di bisogno,
venne anzi istituito un collegio sacerdotale finalizzato al compito di salvaguardare e
interpretare le parole contenute nei rotoli.
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