venerdì 27 settembre 2024

Signor Ludwig: l'uomo o il genio



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Doveva esserci qualcosa di strano in quella scuola Viennese e imperlata di una neve del passato, o forse si trattò solo dello spirito del tempo, così forte e viscerale, o di certe forze intestine che si trovano in posizioni emergenti o moti storici incredibili e inspiegabili, ma un ragazzo silenzioso, taciturno, assertivo, che in futuro niente meno che dal logico e filosofo Russel verrà definito “il prototipo del genio”, condivideva le aule, i corridoi, forse gli insegnanti e che dire, forse anche le pause ricreative con il più grande genocida del novecento, entrambi a modo loro, ossessionati da un’idea precisa, non banale e non scontata.

Un’idea non di tutti i giorni, insomma, che su quella Vienna di fine 800 e inizio 900 si respirava in questi due bambini come oggi si respira lo smog o si tira una sigaretta.

L’idea era questa: l’ossessione, per una soluzione finale. Una cesura nella storia, un prima e dopo, un concetto di limite, su cui ci si muove in equilibrio. Da un lato l'aberrante fine della popolazione ebraica e di tutti coloro che venivano considerati diversi, scomodi, e non ariani da parte del secondo bambino, oggi noto con il nome di Adolf Hitler.

Dall’altra, l’idea di terminare la filosofia, di trovare un limite e un limitare al linguaggio della filosofia e della logica. Di scrivere, in un certo senso, il libro definitivo. Da cui, oltre ad esso non si può parlare (né scrivere).

Stiamo descrivendo il filosofo del linguaggio e logico Ludwig Wittgenstein, oggi considerato una delle personalità più importanti del 900.

Il suo primo libro, da leggere, è un’autentica sfida; di una complessità disarmante e con una struttura alquanto strana ed enigmatica, fatta di 7 brevi frasi che postulano dei concetti, e molti altri corollari e definizioni sempre molto brevi che vanno a chiarire via via questi postulati.

Il libro si trova sul limitare arcano fra una dimostrazione di matematica pura e di logica ferrea ma Il suo contenuto, invece, parla del linguaggio e del mondo.

La tesi di Wittgenstein è che ci sia un parallelismo tra linguaggio e mondo, appunto. Che il vero linguaggio, o meglio l’unico linguaggio che ha senso, è il linguaggio dei fatti, pratico e preciso, della scienza, che si occupa di realtà. Una frase come “il tavolo è marrone”, ha senso. Una frase come “l’anima è profonda”, o “la vita è bella”, non lo hanno, in quanto non sono immagini di fatti e di realtà.

Eppure Wittgenstein non è stupido. Frasi come queste sono anzi la maggioranza del nostro linguaggio e sono anzi forse le più importanti per noi. Ciò, come si spiega?

Intanto lui non vuole trovare frasi di seria A e frasi di serie B; ma solo quelle di cui si può parlare con certezza, il linguaggio che ha senso, e quello viceversa, che lui definisce “il mistico”, e a cui relega l’ultima delle 7 preposizioni.

Il mistico, ci spiega, forse è la parte più importante per l’uomo, ma non se ne può parlare in maniera logica. In questo senso afferma, ai titoli di coda del suo libro: “Di tutto ciò di cui non si può parlare, si deve tacere”.

Eppure passano gli anni, Wittgenstein si ritira in alterne solitudini in Norvegia e qualcosa cambia.

Si reinventa, e scrive un altro libro che verrà universalmente considerato come il “secondo Wittgenstein”.

In questo dirà che i linguaggi sono “giochi” che dipendono dalla situazione e dal contesto in cui sono inseriti. A seconda di questo possono essere sensati per uno e insensati per gli altri. In un gioco di prospettive e prospettivismo ricrea dalla base non solo se stesso e il suo pensiero, ma ha l’umiltà di riproporsi nudo, sconfitto da se stesso e rinato. Come un uomo che sa che cambiare non è un fatto scontato. Tanti rimangono fossilizzati, per intere vite su cose che sanno fare bene (e per carità va bene anche questo). Eppure, forse, semplicemente si propagano, si assuefanno a se stessi. Smettono di essere in ascolto, in qualche modo.

Uccidono il diverso, dentro di loro, e vivono in una torre d’avorio di sicurezze in realtà molto fragili. Perché la vita e il cambiamento irrompe, come un fiume fuori gli argini e sboccia come i fiori lungo i campi.

In quegli anni, Hitler, il simbolo non solo di un uomo enormemente negativo, ma anche di un uomo rigido e non in grado di cambiare le sue idee, era già morto da tempo nel suo bunker, forse proprio per questo fatto: non aveva accettato la sconfitta della germania e del suo pensiero assolutista.

E pensare che Wittgenstein, l’altro bambino Viennese, ha accettato persino la sconfitta di un genio, ossia se stesso, pur di reinventarsi uomo.

iononquadro

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