Voglio raccontarvi qualcosa che mi è successa un po' di tempo fa, durante un gruppo di parola e ascolto.
Stava parlando una ragazza, che raccontava la difficoltà di dire ai propri familiari il fatto che fosse in cura, perché malata di mente. Quando ha parlato la ragazza, ho avuto una strana impressione, o forse dovrei dire percezione che mi ha distratto e turbato, perché non sapevo che cosa mi stava succedendo, che cosa avevo colto, che non era semplicemente ciò che mi stava dicendo o comunicando con la parola o i gesti. Ma c'era di più, ma non riuscivo a metterlo a fuoco. Era come se fossi stato colpito ed affondato. Tant'è che quando era il mio turno di parlare, sono rimasto senza favella, afasico. Io, un tipo logorroico e prolisso come me. Ebbene sì, la cosa mi ha dato da pensare e rimuginare, ma non riuscivo a cavare un ragno dal buco. Ho scomodato Lacan, il significato e il significante e addirittura il signor Jung e la sua teoria delle Ombre. Ma non mi è venuto in mente nient'altro che per un attimo avessi colto uno squarcio nella sua ombra e che a tal vista la mia ombra avesse sussultato, un'eccheggiar d'ombre insomma. Ma la spiegazione non mi convinceva e allora ho preso carta e penna e sì, sono anche grafomane, ahimè, e ho scritto ciò che mi veniva in mente ripensando al fatto. Adesso vi leggo ciò che ho scritto:
In quella casa,
Il silenzio era il padrone,
Tra quelle mura,
Nessun suono s'era mai udito,
Eppure - io sentivo urlare,
Un arlo - di rabbiosa impotenza,
Ma forse - stavo solo ascoltando,
Il Silenzio.
Nonno Elpho
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