Il
potere può indagare su se stesso? Mi sembra questa la domanda principale, o
provocazione, suscitata da un film che nella sua epoca suscitò un certo
scandalo, tanto da essere censurato. Due stupendi attori principali, Gian Maria
Volontè, nei panni di un capitano della squadra omicidi che diventa capo della
Polizia, e Florinda Bolkan, una stupenda Florinda Bolkan, nei panni dell’amante
del capitano di Polizia. La stessa Polizia non ci fa una bella figura in questo
film degli anni ’70, sembra sempre presa dall’ossessione di reprimere e
controllare i giovani, con tanto di sale di controllo completamente dedicate
all’intercettazione delle telefonate dei cittadini. I giovani sono divisi in
numerosi gruppi e grupetti, tutti autoproclamatesi “rivoluzionari”, ci sono i
maoisti, i trotzkisti, gli anarchici, gli stalinisti e i leninisti etc etc e
tutto questo movimento da’ la sensazione, per non dire l’illusione, anche al
questurino capo della Polizia interpretato da Gian Maria Volontè, che la
democrazia sia “solo l’anticamera del socialismo”, come se passare dalla
democrazia al socialismo fosse una cosa semplice. Insomma anche gli anni
settanta non riescono a comprendere se stessi, il grosso del movimento non è
finalizzato a nessunissima rivoluzione, solo ad avere una democrazia più
“democratica”, più compiuta. A distanza di anni si nota con evidenza che di
tutti quei gruppi sono rimasti solo i leninisti, certo ci sono ancora gli
anarchici e i bombaroli vari, ma che ci credano veramente alla violenza del
popolo, c’è da dubitarne. Gian Maria Volonté interpreta questo questurino che
ha una storia d’amore con Florinda Bolkan, ma è anche molto immaturo e forse
anche impotente dal punto di vista sessuale, tanto che riesce ad ecittarsi solo
fotografando la sua donna in pose da cronaca nera, e alla fine poi l’ammazza
veramente, con una lametta, perché lei lo “tradisce” con un giovane
rivoluzionario. Il questurino lascia tracce dappertutto, semina una marea di
indizi per farsi scoprire, ma i suoi colleghi non ne vogliono sapere di
arrestarlo, e nemmeno di indagare su di lui. Neanche il giovane rivoluzionario
vuole denunciarlo come l’assassino della donna, perché preferisce che il capo
della repressione dei movimenti giovanili si renda conto da solo di essere un
criminale. Insomma, non c’è verso di farsi arrestare, se sei il capo della
Polizia puoi fare qualunque cosa, anche passare col rosso facendo finta che si
tratta di esigenze di servizio, come facevano i due protgonisti in uno dei loro
strani giochi amorosi. È un film che ho rivisto con un filo di tristezza, anche
per via della musica martellante di Morricone, forse perché insieme a Florinda
Bolkan muoiono un po’ anche quegli anni, gli anni settanta, anni di grandi
illusioni e anche di qualche raro impulso sincero.
Voto 8
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